RB 6,6-7 – Parlare e insegnare è compito del maestro; tacere e ascoltare, invece, si addice al discepolo. Pertanto, quando si ha qualcosa da domandare a un superiore, lo si faccia con tutta umiltà e rispettosa sottomissione.

Tra le parole buone e sante tali da edificare vi è l’insegnamento del superiore, questi ha infatti il compito di edificare la comunità avendo cura del cammino dei singoli fratelli. Sappiamo tutti però che ogni relazione abbisogna di due soggetti, chi parla e chi ascolta, cioè occorre che tutte e due le parti si mettano in gioco. Non basta un superiore che parli, anche in modo sapiente e illuminato, se i discepoli non ascoltano o non prendono in seria considerazione le sue parole. Il frutto di edificazione è un frutto condiviso, sinergico. Vi deve essere anche una sapienza di chi ascolta.

Il pericolo più grande è infatti quello di pensare e ritenere di bastare a se stessi e di non aver bisogno delle parole o dell’insegnamento di un altro. Un atteggiamento simile rende sterile qualsiasi parola, compresa quella di Dio. Il vero ascolto richiede sapienza e discernimento, ma anche desiderio di apprendere e buona disposizione.

I termini umiltà e rispettosa sottomissione vogliono esprimere l’atteggiamento recettivo che dovrebbe abitare i nostri cuori. Umiltà perché abbiamo sempre la possibilità di imparare qualcosa, di scoprire aspetti di noi che ci sfuggono, non solo da Dio, dai superiori, ma da ogni uomo e dalla vita stessa. Interessante è però l’invito al “rispetto”, che mi sembra un invito a riconoscere all’altro che ci offre una parola, che potrebbe essere anche un’osservazione, del rispetto. Questo perché vuole aiutarci. Dobbiamo riconoscere che quanto viene messo in luce un nostro limite scatta in noi un meccanismo di autodifesa che tende o a minimizzare, o a screditare chi ci ha offerto questa parola di correzione. Chi però alla fine ne esce perdente siamo noi, perché abbiamo perso un’occasione per migliorarci.