RB 2,26-30 – Non chiuda gli occhi sui vizi dei fratelli, ma li sradichi subito, energicamente, appena incominciano a manifestarsi, ricordandosi della triste fine di Eli, sacerdote di Silo. Perciò riprenda, ammonendoli una o due volte, i fratelli più docili e disponibili ad ascoltare; punisca invece, al primo affiorare del peccato, i malvagi e i superbi, i disobbedienti e gli ostinati, ricorrendo anche alle battiture e al castigo corporale, poiché la Scrittura dice: Lo stolto non si corregge a parole. E ancora: Percuoti con la verga tuo figlio e lo strapperai dalla morte. Sempre l’abate si ricordi di quel che egli è e di come lo si chiama, e sappia che si esige di più da colui al quale più si è affidato.

Lo scopo dell’insegnamento dell’abate è quello di far progredire sempre più tutti i fratelli nel bene. Ciascuno ha un punto di partenza differente, ma nessuno può mai dirsi arrivato. Questo è un cammino che non termina mai perché abbiamo sempre qualcosa da imparare e da vivere meglio, anche perché le situazioni cambiano e le persone evolvono.

Non è detto però che si cambi sempre in meglio. Indisciplinati, ribelli, ecc. si diventa per svariati motivi. Spesso perché si ritiene di essere nel giusto e si pensa che sono gli altri a sbagliare, compreso l’abate, per cui si ritiene di dover fare non come ci viene detto, ma come pensiamo noi. Quando non ci si mette in discussione, quando si ritiene di essere sempre nel giusto, è segno che qualcosa non funziona correttamente e si presume di se stessi. Si incomincia dalle piccole cose per poi giungere a contestare impostazioni comunitarie e scelte dell’abate.

La ribellione è il frutto visibile di un cammino iniziato molto prima separandosi di fatto dalla comunità, ponendosi in una posizione di autogiustificazione e di critica dell’altro. La ribellione è prima di tutto un atteggiamento interiore, un porsi al di fuori o contro, un criticare senza compassione e attenzione al cammino delle persone, a cogliere l’evoluzione in atto e gli sforzi sottesi.

Il progredire nel bene non è un progredire nel perfezionismo, ma nella compassione e nell’amore alle persone. E’ questo il fronte sul quale lavorare imparando anche dai propri sbagli, dal proprio modo di reagire e sentire davanti a un richiamo o a una parola che riceviamo. Se quell’atteggiamento ha ferito me può ferire anche altri. Mi devo chiedere perché mi ha ferito e come posso evitare di ripetere lo stesso meccanismo. Il non chiudere gli occhi sui vizi non significa intervenire subito, ma vigilare e tenere sotto osservazione l’evolversi di una situazione per capire quando è bene dire una parola, quando è il tempo per porre un segno, dando spazio e tempo per cambiare.