RB 7,1-4 – La divina Scrittura, fratelli, a gran voce proclama: Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato. Così dicendo essa ci mostra che ogni esaltazione è una specie di superbia, vizio da cui il profeta vuole guardarsi quando dice: Signore, non si inorgoglisce il mio cuore – non vado in cerca di cose grandi – superiori alle mie forze. E che cosa mi accadrà se non sarà umile il mio sentire, se il mio cuore si leverà in superbia? Come un bambino che sua madre ha svezzato, così tu tratterai l’anima mia.

Benedetto dedica un intero capitolo all’umiltà, tema che ritornerà anche in altre occasioni. Questo atteggiamento però non è di facile comprensione e può essere interpretato in modo distorto. I versetti biblici scelti possono aiutarci a darne una prima lettura. I termini esaltare, innalzare, portano in sé l’immagine di porsi in alto, al di sopra. Con il nostro modo di comportarci, di porci, di relazionarci, possiamo consapevolmente o inconsapevolmente trattare chi ci sta accanto come persone inferiori. Magari non in modo teorizzato, ma di fatto umiliando. Al nostro innalzarci corrisponde un abbassare gli altri. A volte capita che la nostra critica pungente ha proprio lo scopo di demolire l’altro per sentirci superiori.

Per comprendere bene questi versetti occorre anche notare chi è il soggetto agente. Quando sono io a evidenziare le mie capacità, le mie imprese, mi devo subito chiedere perché lo faccio? E’ un modo per oscurare l’altro, per cercare di ottenere una stima che non mi sembra essere adeguata? Il vero problema infatti è come mi pongo in relazione con l’altro. Che considerazione ho dell’altro?

I talenti che Dio mi ha dato quale scopo hanno, in che modo possono realmente portare frutto? Se io li considero come un possesso esclusivo che ha come unico scopo il mio successo, l’altro è solo un ostacolo o colui che deve sostenere questo mio percorso sottomettendosi. In questo modo però fallirò il progetto che Dio aveva su di me e per il quale mi ha affidato quei talenti. Se invece scopro e riconosco che mi sono dati per far crescere il bene non solo in me, ma anche attorno a me, condividendo, facendone un ponte e strumento di crescita anche per l’altro, allora porteranno quel frutto che rallegra il cuore di Dio e che gli fa dire: vieni servo buono e fedele, condividi la gioia del tuo Signore.

Umiltà allora non è nascondere o sotterrare le proprie capacità, ma farne strumenti per crescere insieme all’altro attraverso la condivisione. Le mie capacità sono da mettere al servizio. Questo atteggiamento mi porta non a esaltarmi, ma a innalzare l’altro facendolo crescere, insegnando, condividendo. Tutti insieme saremo innalzati da Dio. Ma anche umanamente una persona che sa condividere e usare le sue capacità per promuovere l’altro incontra e suscita molta più stima e benevolenza di chi si gonfia senza portare alcun giovamento.