RB 6,1-2 – Facciamo quel che dice il profeta: Ho detto: Veglierò sulla mia condotta per non peccare con la mia lingua. Ho posto un freno alla mia bocca. Ho taciuto e mi sono umiliato, ho evitato di parlare su cose buone. Così dicendo il profeta ci mostra che talora è bene, per amore del silenzio, astenersi dal parlare persino di cose buone; tanto più quindi ci si deve astenere dai discorsi cattivi per evitare la pena del peccato.

Benedetto dopo aver affrontato il tema dell’obbedienza dedica un capitolo al silenzio, e lo fa citando dei versetti del salmo 38 (39), ma in questo modo richiama tutto il salmo. Si tratta di una preghiera che tratta il tema del valore della vita dell’uomo, della sapienza e di come custodire la propria vita dal male. Importante infatti è capire che si tratta anche in questo caso di uno strumento e non di un fine. Attraverso queste citazioni siamo invitati a scoprire il fine del silenzio per capire come viverlo.

Il primo richiamo è al vigilare sulla nostra parola, è a imparare a riconoscere da cosa è mossa e quali frutti può portare. Potremmo dire che lo scopo del silenzio non è il mutismo, ma una buona parola, una parola che dà vita. Per evitare il male, il peccato, occorre evitare quella parola cattiva, quel parlare male da cui nasce. I cattivi discorsi non sono solo la maldicenza, ma anche tutte quelle parole che evidenziano o ridicolizzano la fragilità e la povertà del fratello. Perché lo facciamo? Questa parola che cosa provoca nell’altro?

La parola di Gesù ridonava speranza, in particolare alle persone fragili e povere, anche moralmente. Era una parola misurata e propositiva, che cioè cercava di valorizzare la persona e non mortificarla. Una parola che cercava di far uscire dal male e non bloccare in esso con un giudizio o una valutazione senza appello. Occorre cioè una parola soppesata, valutata, scelta consapevolmente. Occorre però anche avere un modello di riferimento, e questo lo abbiamo in Gesù. Per Benedetto il silenzio è la culla di una buona parola, e per questo si accompagna all’umiltà, che è rispetto dell’altro come mistero in cui Dio è presente, anche se a me sfugge come.