RB 4,42-43 – A Dio, non a sé, attribuire il bene di cui ci si riconosce capaci; a se stessi, invece, nella consapevolezza d’averlo compiuto, saper imputare il male.

Questi versetti non vanno letti in modo distorto come una de-responsabilizzazione; non siamo marionette nelle mani di nessuno, neppure di Dio. Egli ci ha donato la libertà e ha scelto per amore di limitare la sua potenza per custodirla. Ma libertà non è abbandono o disinteresse da parte Sua. Egli veglia sul cammino di ciascuno di noi e prende molto sul serio le nostre scelte. Egli ci incoraggia, ci sostiene, ci dona ciò di cui abbiamo bisogno per portare a compimento ciò che abbiamo scelto in conformità al suo amore.

Attribuire il bene di cui siamo capaci a Dio non significa negare e sminuire la nostra fatica del discernimento, della scelta, ma riconoscere come nella sua realizzazione siamo sostenuti e accompagnati. E’ Lui la sorgente di ogni bene e quando riusciamo a compiere qualcosa in questa direzione, collaboriamo alla sua opera di salvezza, d’amore, verso di noi e verso il mondo intero.

Questi versetti vogliono aiutarci a riconoscere anche come quando facciamo il male, cioè quando delle nostre scelte o azioni portano frutti di male, ci siamo allontanati da Lui. E proprio questa distanza ci rende difficile riconoscere e scegliere il bene, la vita. Siamo chiamati ad essere suoi collaboratori condividendo i suoi desideri, scoprendo come in essi c’è la nostra pienezza e la nostra felicità.

Allontanarci da Dio significa allontanarsi dalla possibilità di una vita autentica. Coltivare e crescere nella nostra relazione con Lui al contrario significa sbocciare e portare frutti di gioia, perché tutto concorre al bene di chi ama Dio.