RB 4,1-2 – Prima di tutto, amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. Quindi amare il prossimo come se stessi.

L’incipit di questo capitolo dedicato agli strumenti delle buone opere è significativo: “in primis” prima di tutto. Si abbraccia la vita monastica per amore di Dio, non per disprezzo del mondo o per altre motivazioni. Se non c’è e se non si coltiva questo fondamento l’edificio della propria vocazione è fondato sulla sabbia e prima o poi è destinato a rovinare. Un amore che coinvolge tutte le dimensioni dell’uomo: l’affetto, l’intelligenza, la forza, la volontà, oserei dire la fisicità. Cioè un amore che si incarna nella propria esistenza e per questo la modella, la plasma.

A questa relazione devono essere dedicate le energie migliori e tutta l’attenzione di cui siamo capaci, perché quelle con i fratelli e tutti gli altri uomini ne sono una conseguenza: “deinde”. Sarà questo amore che ci donerà la forza di superare le difficoltà di carattere, le incomprensioni, le antipatie, le ingiustizie. Perché solo in questa relazione possiamo imparare la gratuità, una relazione disposta a donare e a perdere per il bene dell’altro. La filantropia invoca sempre una reciprocità, che nella vita non sempre c’è.

Ma le dimensioni dell’amore non sono solo quella verticale e quella orizzontale, ma ve ne deve essere anche una riflessiva, cioè verso noi stessi. Tutte devono però essere ben equilibrate ed armonizzate. I problemi nascono appunto quando una di queste dimensioni è sproporzionata o ne manca qualcuna.

Vi è un “primo” e un “secondo”, ma vi è anche un “come”. Questo come è “illustrato” dall’esperienza terrena di Gesù: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. E proprio l’amore dovrebbe essere l’elemento che permette di riconoscere i discepoli di Gesù: da questo vi riconosceranno, se avrete amore gli uni per gli altri. Non un amore qualsiasi, ma con quella caratteristica “come io”.