RB 4,29-33 – Non rendere male per male. Non fare ingiustizie, ma sopportare con pazienza quelle ricevute. Amare i nemici. Non maledire chi ci maledice, anzi benedire. Saper soffrire persecuzione per la giustizia.

Questa serie di citazioni affronta il tema del male che può assumere mille volti e sfaccettature anche nella nostra vita. Può assumere il volto delle piccole incomprensioni che viviamo come tradimenti, o il volto delle grandi ingiustizie che diventano persecuzioni. La tradizione usa spesso l’immagine della lotta, del combattimento contro il male. Il primo passo però è riconoscere come esso ci “contagia”.

“Non rendere male per male” significa spezzare la spirale che esso innesca, rompere con la sua logica che ci vuole intrappolare nelle sue maglie giustificandosi in mille modi, anche in nome della giustizia: occhio per occhio, dente per dente. Per combattere il male occorre prima di tutto non lasciarsi portare sullo stesso piano, cioè non rispondere al male con il male, alla violenza con altra violenza, alla maldicenza con altra maldicenza.

Ma per fare ciò occorre una grande forza perché è più facile rispondere che trattenersi. La non violenza richiede più forza e coraggio della violenza, e non è passività. Ci chiede l’intelligenza di “disarmare” il male, renderlo innocuo non solo verso di noi, ma verso tutti. Se noi per fare ciò diventiamo violenti, in realtà ci siamo lasciati portare dalla sua parte e ci siamo fatti collaboratori. Non importa contro chi, ma da vittime diventiamo nuovi carnefici.

Il sopportare, il soffrire, sono elementi di questa lotta per la nostra dignità umana e per la nostra libertà. Non più schiavi del peccato e della logica della vendetta, ma uomini liberi e capaci di costruire un mondo nuovo che parte da relazioni nuove. Il limite e il difetto dell’altro lo si cura e non lo si combatte, cioè si lavora per aiutarlo a crescere e non lo si demolisce azzerandolo. Si fa più fatica a costruire che a distruggere e ci vuole più tempo a far crescere che a far morire. Per questo occorre oltre che forza, pazienza e perseveranza.

E questo cammino deve iniziare proprio dalla lingua, cioè dal saper spezzare la logica del rispondere anche alla maldicenza, alla critica amara, alla presa in giro, al ridicolizzare l’altro con altrettanto veleno. Saper fare della nostra bocca uno strumento di bene, di benedizione, di benevolenza.

Dio solo sa trarre il bene dal male, ma con il suo aiuto possiamo fare altrettanto. Il perdono, che non è fare finta di niente, è la vera arma, ma richiede forza e intelligenza. Il bene è un processo per la vita che richiede attenzione e costanza per accompagnare, non può essere a spot, quando me la sento. E’ una scelta di campo che va mantenuta e quando perdiamo terreno dobbiamo riconquistarlo.