RB 1,10-12 – L’ultimo genere di monaci è quello dei girovaghi: essi passano la vita errando di regione in regione, facendosi ospitare per tre o quattro giorni nelle celle degli altri, sempre vagabondi, mai stabili, schiavi delle proprie voglie e dei vizi della gola, peggiori persino dei sarabaiti. Del tenore di vita di tutti costoro è meglio tacere che parlare.

Qual è l’elemento che mina e squalifica lo stile di vita dei girovaghi? Da una parte l’instabilità, e dall’altra l’autoreferenzialità. Come una pianta, se viene continuamente trapiantata, non ha la forza di portare frutto, perché le sue radici vengono continuamente recise, così l’uomo instabile non riesce a consolidare anche i passi che intuisce o riesce a compiere.

La vita spirituale è spesso descritta come un continuo cammino per sottolineare che è in continua evoluzione, non è una realtà statica. Ma per poter compiersi ha bisogno di una stabilità interiore che non è immobilismo e fissità. La stabilità interiore la potremmo definire come la capacità di scendere in profondità per ascoltare la voce dello Spirito. Il senso ebraico e latino del verbo “ascoltare” che ha due dimensioni: comprendere e obbedire a ciò che si è compreso.

La stabilità è questo far proprio ciò che lo Spirito ci dice e obbedirgli, quindi metterlo in pratica, consolidarlo, restargli fedele. La stabilità spirituale ha quindi una dimensione dinamica, quella della continua ricerca di ciò che lo Spirito dice, e una dimensione “consolidante”, di obbedienza, di perseveranza. Per poter camminare prima di sollevare un piede occorre che l’altro sia ben poggiato a terra. Per poter compiere un nuovo passo nella vita spirituale, ma questo vale per ogni aspetto della vita, occorre prima aver acquisito e fatta propria l’intuizione precedente, altrimenti non si ha una direzione e non si cresce, ma semplicemente si va a zonzo, si gira a vuoto.

Questa obbedienza e acquisizione delle intuizioni che lo Spirito ci dona, richiede tempo, richiede un approfondimento che viene solo dall’incominciare a viverle. È il passaggio dal sogno alla realtà, dall’intuizione che ci affascina, o a volte ci spaventa anche un po’, ma a cui ci sentiamo chiamati, alla vita che ce ne deve far prendere tutte le misure, che deve fare i conti con il nostro limite e quello del contesto e della situazione in cui stiamo vivendo. È un po’ come il passaggio dal seme alla pianta, dall’essere in potenza all’attualizzazione.