RB 1,3-5 – Il secondo è quello degli anacoreti, o eremiti. Questi, non per un facile fervore, com’è proprio dei principianti, ma per una prolungata e matura esperienza acquisita in monastero, con il sostegno dei fratelli, sono diventati esperti nella lotta contro il maligno. Ben addestrati dunque nella schiera dei fratelli, per lottare poi da soli nel deserto, sono ormai forti e pronti a combattere, senza il sostegno di altri – unicamente con l’aiuto di Dio – contro i vizi della carne e del pensiero.

Benedetto, presentando la vita eremitica o anacoretica, la mette in stretta relazione con quella cenobitica. Il fatto storico che lui abbia iniziato il suo cammino monastico al Sacro Speco ci dice che questa relazione non è necessariamente una evoluzione di forme monastiche, ma l’acquisizione di equilibri umani. Detto in un altro modo, per poter affrontare la vita solitaria occorre essere capaci di sostenere quella comunitaria.

Si abbraccia la vita anacoretica non per incapacità o fuga da quella comunitaria, non per assecondare i propri desideri, ma per vivere in profonda comunione con Dio, direi al limite delle proprie possibilità, e in Lui aprendosi al mondo intero. Non è sufficiente un facile fervore, occorre acquisire una stabilità e un equilibrio che permettano di discernere tra volontà propria e volontà di Dio. Se è vero che Dio parla al nostro cuore, è però altrettanto vero che non tutte le parole che provengono dal nostro cuore sono parole di Dio. Il confronto con i fratelli è un aiuto a riconoscere e distinguere la volontà di Dio dalla propria.

Il rischio di assecondare in buona fede le proprie inclinazioni è presente in tutti, anacoreti e cenobiti. Non necessariamente questa inclinazione ha il volto chiaro del vizio, anzi, inizialmente si presenta spesso come un miglioramento del proprio cammino. Il confronto con la Regola scritta, con quella non scritta della vita comune e con i fratelli, è un aiuto a discernere e smascherare le proprie inclinazioni dagli appelli di Dio.